La scarpa da Trail Running. edizione 2009

Quello sulla scarpa da trail resta uno dei post più visitati di sempre; lo scrissi un anno e mezzo fa (un po’ per il blog, ma soprattutto per il newsgroup it.sport.atletica), ma pare passato un secolo. Lo integro con quanto ho scritto poi su Spiritotrail webzine#4
In coda ho aggiunto un commento attualizzato

Da questo numero, SpiritoTrail inizia una serie di commenti, recensioni e giudizi a proposito dell’attrezzo fondamentale del trail running, la scarpa.
La sensazione che si percepisce tra i trailer è che l’aumento dell’offerta di modelli sul mercato nell’ultimo periodo abbia generato qualche spiazzamento. In realtà, infatti, sotto la rassicurante categoria A5 (quella appunto in cui sono comprese le scarpe da trail) si trova un po’ di tutto, dalla scarpa “da competizione” reattiva, leggera e dalla scolpitura appena accennata a quella super-protettiva con tasselli da fare paura ad un caterpillar, dalle marche più conosciute a quelle appena giunte oltreoceano; non è facile, per niente, scegliere quale sia il modello più adatto alle nostre esigenze o alle nostre caratteristiche. Spesso, essendo il mercato giovane e ancora in espansione, pure il nostro negoziante di fiducia ignora la vera differenza tra di esse e ci propone, magari, la sola marca di riferimento forte delle vendite.
Cerchiamo quindi di analizzare le caratteristiche di una scarpa da trail running. Conoscendone le caratteristiche sarà più facile in futuro sapere cosa cercare, cosa chiedere, quale compromesso accettare.

Continua a leggere “La scarpa da Trail Running. edizione 2009”

Responsabilità, scolpitevela nella crapa!

Lo so, gli amanti/esperti del trail running queste cose, pur senza conoscere una cippa di linee guida, le sanno già. Non occorrerebbe nessun organismo, nessun comitato centrale né ufficio, per definire il comportamento di un trail runner, tanto, mi parrebbe, che questo debba essere innato, spontaneo in chi affronta la corsa in natura, addirittura un pre-requisito.
Mi capita spesso di raccogliere bottiglie di plastica abbandonate sui sentieri, oppure vedere “varianti” di sentieri create per evitare un tratto di fango o una pozzanghera, o un tronco abbattutosi dopo l’ultimo temporale.
Allora, mi sono detto, è bene che tutti, nessuno escluso, mt-biker, escursionisti e semplici amanti del pic-nic, nonché, appunto, noi trailer abbiamo bene in mente cosa si debba o meno fare. E non solo dal punto di vista ambientale, perché la responsabilità di chi corre sul sentiero è anche direttamente verso i propri simili, nell’immediato.
Ho dunque scosso la mia libreria, una sfogliata a riviste/libri e, toh, trovo quello che mi serve.
Si tratta delle linee-guida scritte da Tom Sobal apparse su “Trial times #11” (la newsletter pubblicata dall’AATRA, All American Trail Running Association) e riportata su “Trail Running: from novice to master”, una pubblicazione cartacea di vari autori (ISBN 0-89886-840-8). Le traduco e le ripubblico (ehm… a “quel” paese la legittima richiesta agli autori, dopotutto il bene comune viene prima ;), e poi ho comunque citato la fonte, e infine, quelli dell’AATRA mi leggeranno? :D)
Eccole, dunque:

  • Resta sul sentiero segnalato ed esistente. Non invadere sentieri chiusi e rispetta comunque le segnalazioni e/o le regolazioni esistenti sulla sentieristica. Non tagliare i fili delle recinzioni o le delimitazioni per il pascolo degli animali,
  • Chiudi i cancelli che hai aperto al tuo passaggio (proprietà, veicoli, animali ecc.),
  • Passa attraverso le pozzanghere o i fondi fangosi, non cercare di aggirarli
  • Scavalca o passa sotto tronchi caduti sul sentiero piuttosto che aggirarli
  • Non lasciare rifiuti, per nessun motivo
  • Utilizza cibi, bevande, materiali, dispositivi e oggetti che abbiano il minore impatto possibile sulla produzione umana di rifiuti non degradabili,
  • Lascia tutto come lo trovi – prendi solo fotografie :),
  • Rispetta la proprietà privata, è meglio chiedere il permesso prima di entrare in fondi privati,
  • Con il tuo passaggio non danneggiare sentieri sabbiosi o fangosi. potrebbe causare erosioni,
  • Evita di spaventare gli altri podisti e utilizzatori del sentiero anticipando il sorpasso con un saluto,
  • Sii pronto a dare precedenza agli altri utilizzatori più veloci (ciclisti, escursionisti e cavalli, per esempio),
  • Il podista in salita da’ la precedenza al podista in discesa
  • Informati sulla zona che attraversi e sulla conformazione del sentiero prima di partire e avverti qualcuno del tragitto che compirai.
  • Indossa, o porta con te, vestiti adeguati alle condizioni meteo, sia attuali sia potenziali,
  • porta conte con te acqua a sufficienza,
  • conosci i tuoi limiti,
  • fermati ad aiutare gli altri nel bisogno mentre gareggi; il trailer deve essere pronto a sacrificare il proprio obiettivo personale per aiutare chiunque si trovi in difficoltà lungo il sentiero,
  • Non disturbare la vita naturale dell’ambiente in cui corri.

Che nessuno abbia più scuse!

Powered by ScribeFire.

Alimentarsi dopo un trail

Ok, non avrò ancora del tutto chiarito le dinamiche “interne” al mio apparato digerente prima e, ancora più importante e ardue di definizione, durante un’ultra, però cosa si debba ingerire dopo mi è più facile descriverne e averne certezza. Sia attraverso le mie esperienze e sia attraverso le letture che in questi anni mi sono fatto. Non essendo medico, né nutrizionista, né qualsiasi altro studioso della materia, ma solo un appassionato, sono pronto a ritrattare tutto qualora si riveli l’inconsistenza teorica e anche, faccio fatica a crederlo ma tanto è, pratica.
Una consistente fatica come un trail, sia un lungo di allenamento o una gara, lascia come coda vari problemi: disidratazione, la scorta di glicogeno totalmente (o in larga parte) consumata, forte aumento dei radicali liberi e citochine. Queste carenze, anche correlandosi, possono generare un’infinita pletora di danni: muscoli doloranti, rigidità tendinee, articolazioni “scricchiolanti”, un basso livello di forma e, ultimo ma non…, un’accentuata depressione del sistema immunitario. Non è un caso che nei giorni successivi si possano riscontrare infezioni di vario tipo (perfino il minore dei mali, cioé un semplice raffreddore o un herpes) o prestare il fianco ad attacchi influenzali.
Credo che un’efficace strategia per limitari i problemi, e quindi rendere il più breve il recupero, sia quella di rimpiazzare quanto prima quello che il nostro corpo ha perso. Ovvio.
E per arginare la falla credo anche sia necessario intervenire quanto prima.
Dunque cosa possiamo fare?
Innanzitutto reidratarsi. È noto, almeno al mio stomaco, quanto sia difficile bere a sufficienza durante l’attività per cui urge farlo dopo. Bere. E meglio dell’acqua, un qualsiasi liquido con una certa carica elettrolitica (sali) e persino lievemente zuccherato. Questi accorgimenti facilitano e migliorano l’assorbimento cellulare e, soprattutto, l’assimilazione digestiva dei liquidi.
Personalmente, al termine di lavori lunghi, avevo/ho una repulsione visiva e mentale per qualcosa di solido da ingerire.
Preferisco adattare, il sistema bocca-esofago-stomaco, con qualcosa di parzialmente solido e non in grandissima quantità. Così, grossolanamente, dico un 300-500 kcal da assumenre subito evitando cibi di lenta assimilazione. Questi nutrimenti immediati saranno costituiti da carboidrati e proteine con una certa parte liquida. Tipo: banana e yogurt, nocciole e mela, cereali, frutta e latte parzialmente scremato. Per riparare i guasti dei radicali liberi cerco di mangiare qualche frutto. Da prediligere quelli con polpa colorata (frutti di bosco, agrumi, pesche e albicocche).
Essenzialmente personale, lungi da me l’essere un consiglio, il mio ricostituente tipo immediato è: una birra pilsner leggera (mmmh quell’amarognolo erbaceo del saaz…) e mezzo di chilo di gelato artigianale alla frutta. Trovatemi qualcosa di meglio, altrettanto digeribile e altrettanto completo. :)
Questo nell’immediato.
Il pasto successivo (di solito quello serale) è il vero “pieno” del serbatoio. Pasta condita con olio di oliva e formaggio, carne alla griglia, verdure e pomodori, sono gli argomenti tipo. In sostanza si tratta di rimpinguare le scorte proteiche che andranno a ricostruire le cellule dei tessuti danneggiati e di ingurgiatare sostanze anti-ossidanti.
Nei giorni successivi la linea da seguire è sempre la stessa. Da notare che a volte posso notare una disidratazione anche 1-2 giorni successivi (il colore delle urine è indicativo). Comunque, proteine e aminoacidi costituiranno i nostri pasti principali. Non è cosa da poco, perché, solitamente si tratta di proseguire l’allenamento subito (o un altro lungo la domenica successiva) e il nostro organismo ha bisogno di essere adeguatamente sorretto pena vedersi crollare in toto le barriere immunitarie. Solo una volta il medico mi ha ordinato un integratore di aminoacidi per una settimana: può essere utile in caso di prove veramente onerose per non pagare eccessivo pegno verso la nostra salute. In questi casi è bene, comunque, sentire il parere autorevole di un medico.

Il paradosso dei bastoncini (*)

In piano, usare i bastoncini determina un significativo aumento del battito cardiaco ed un parallelo aumento del consumo energetico, per l’ovvio motivo che aumentano le masse muscolari mobilitate.
Tale aumento di spesa energetica e’ molto publicizzato dai fautori del nordik walking. Tuttavia, in salita, con lo zaino o senza, i bastoncini consentono velocita’ ascensionali maggiori, oppure a parita’ di velocita’ ascensionale, un battito cardiaco inferiore. Il “paradosso del bastoncino” sta tutto qui.

In altre parole, quando e’ che diventa “conveniente” (maggiore velocita’, minore consumo energetico, minor fatica) usare i bastoncini da trekking?
Una serie di studi, di osservazioni empiriche e considerazioni consentono di fare alcune ipotesi.
I bastoncini sono vantaggiosi in salita per due motivi sostanziali:
1. Migliorano l’equilibrio di marcia, evitando oscillazioni del corpo
2. Aiutano le gambe in fase di spinta smussando i picchi di sforzo richiesti ai muscoli delle gambe

Sono meccanismi complessi, ovvero dipendono da molti fattori quali l’abilita’ nello scegliere il punto di appoggio del bastoncino, la tecnica di spinta, la coordinazione, assolutamente indispensabile per ottenere vantaggi percepibili.
Le modalità di trasferimento di parte del peso al terreno attraverso le braccia lo rendono un meccanismo intrinsecamente “lento”: si deve scegliere dove puntare il bastoncino, con che inclinazione, come spingere, in che momento spingere per un alleggerimento del carico, in termini assoluti, del tutto modesto.
Il tutto coordinato con il passo, con l’altro braccio, che puo’ essere in fase o in opposizione, tenendo conto della superficie del sentiero.
Ne consegue che la possibilita’ di usare i bastoncini dipende dalla velocita’ di marcia/corsa (esistera’ una velocita’ limite per la quale non si riesce, fisicamente, a trasferire carico attraverso le braccia).
Questo, oltre che in accordo con l’esperienza e’ in effetti piuttosto famigliare a chi pratica pattinaggio o sci di fondo.
Un pattinatore puo’ scivolare ai 50Km/h: se lo costringiamo ad usare i bastoni, non e’ che fa i 51 Km/h, caso mai rallenta o cade.
E cosi’ pure nello sci di fondo: alle massime velocita’ del passo pattinato, ad esempio in discesa, si puo’ pattinare ma non si spinge con i bastoni.
A livello del tutto indicativo, possiamo definire corsa una andatura superiore agli 8 Km/h (in piano, i piedi si sollevano entrambi, solo un marciatore agonista riesce propriamente a camminare).
A questa velocità, l’uso dei bastoncini e’ proibitivo.
Come abbiamo visto, l’uso redditizio prevede il trasferimento di parte del carico, ma cio’ non puo’ avvenire ad alta velocita’.
Di passo, attorno ai 5-6 Km/h, e’ possibile usare i bastoni.
Ecco quindi una conclusione molto importante, in accordo con l’esperienza: un forte runner puo’ trarre benefici dai bastoni SOLO se la salita e’ di lunghezza tale da costringerlo a camminare, o di pendenza tale per cui la corsa sia pressoché impossibile.
Oppure, se lo stato del sentiero e’ in condizioni da rendere poco efficiente la corsa.
Un esempio notevole in questo senso e’ dato da una gara vinta da Bruno Brunod: la maratona del Breithorn.
Il Breithorn è un facile 4000 tra Svizzera ed Italia, fu organizzata una gara del circuito skyrnning che passava dalla cima (4165 m).
Brunod, costretto ad inseguire Ricardo Meja e Matt Carpenter nei tratti di pura corsa, stravinse sul terreno difficile, a lui più congeniale.
In particolare, dichiaro’ che nei tratti innevati i bastoncini gli consentirono un significativo vantaggio: correre senza, voleva dire scivolare all’indietro ad ogni passo.
In altre parole, il bastoncino, consentiva di alleggerire il piede, che cosi’ non rompeva la coesione dello strato superficiale di neve.
Sempre a livello puramento indicativo, uno skyrunner di vertice puo’ percorrere i 1000 m del chilometro verticale in circa 35 minuti.
La cosa interessante di questo tipo di gara e’ che la velocita’ ascensionale aumenta con la pendenza ma aumenta di poco.
In linea di massima, possiamo dire che con certe pendenze, il tempo dipende solo dal dislivello.
Con queste ipotesi, la velocità media sui percorsi record si aggira si 4.9 – 5 Km/h.
Su percorsi piu’ lunghi abbiano notevoli tratti di corsa.
Questo significa che l’uso dei bastoncini puo’ essere redditizio solo nei tratti in cui si cammina sotto i 5 Km/h, di fatto e’ inutile negli altri tratti.
Questa complicazione, rende poco usati i bastoni da molti atleti, che preferiscono spingere con le mani, in caso di necessita’.
In una gara lunga e per forza di cosa piu’ lenta, i bastoni possono invece diventare decisivi.
Si noti che il vantaggio in termini di equilibrio e’, per gli atleti di vertice, poco rilevante: si tratta di acrobati in grado correre su un filo da bucato, di danzare sulla punta delle spade senza forarsi.
Diverso il discorso per un runner modesto, un ciabattone barcollante che scivola sui sassi.
Il vantaggio per l’aumento dell’equilibrio e di controllo della marcia diventa fondamentale in presenza di carichi rilevanti trasportati, che poi e’ una maniera pomposa per dire “zainone”.
Qui, i bastoncini evitano le oscillazioni, le perdite di tempo, i passi interrotti (micidiali!) e poiche’ le velocita’ sono sempre e comunque modeste, diventa piu’ semplice l’uso del bastone (di passo veloce, bisogna essere coordinati come spadaccini per usufruire dei vantaggi).
E in presenza di carichi, la diminuzione dello sforzo di picco nei muscoli delle gambe e’ molto vantaggioso.
Anche qui, in accordo con l’esperienze, per cui il vantaggio diventa rilevante per carichi notevoli, pendenza rilevante, terreno difficile.

Camminare in piano con i bastoncini, senza carico, non e’ mai conveniente, in termini di efficenza energetica.
E’ pero’ utile, per chi deve smaltire calorie, muovere le braccia,migliorare postura, respirazione ecc.

(*) Apparso sulla mailing list “dead runners society” italiana a cura di Enea Berardi. Pubblicato su licenza Common Creative (come del resto tutto il testo del presente blog) con il permesso dell’autore

Ultratrail: come allenare

Una premessa: allenare al massimo tutte le caratteristiche descritte nel post precedente richiede molto tempo, davvero molto. E soprattutto, se magari il tempo lo potete anche ricavare nell’arco della giornata, molti sacrifici (e litigi familiari…). Io credo che l’unico allenamento a cui non ci si possa DAVVERO sottrarre siano i lunghi, lo stimolo dell’endurance dunque. Le altre uscite di corsa possono benissimo essere compresse nel tempo che abbiamo a disposizione senza per questo perdere significativi punti. parlando ovviamente del nostro livello di amatori. In soldoni: tralasciando l’uscita del sabato-domenica che sarà ovviamente sostanziosa (in relazione al progressivo innalzamento del chilometraggio), potreste fare altre due uscite infrasettimanali di un’ora-un’ora e mezza ciascuno allenando e stimolando, comunque sufficientemente, le qualità che vi interessano. D’altra parte, i pazzi, gli “svincolati”, i veri santoni della corsa ultra-trail non devono sentirsi demotivati a fare quanti più km e ore di corsa desiderano: la vostra strada porta a due destinazioni, buone posizioni in classifica e lo stato di “raminghi senza dio né patria” concessovi dalle Nazioni Unite in seduta plenaria.
torniamo seri. io, tutti gli allenamenti, li consiglio sempre su terreno naturale sia per gli stimoli ai propriocettori sia per gli stimoli mentali che costringono a guardare meno orologio e ritmi in favore di un ascolto del proprio impegno e della propria fatica (ok per il gps, ma, nell’essenza, dimenticatevi di avere una certa media su un percorso naturale)

  • la forza. Per allenare e tenere allenata la forza servono le salite. una seduta settimanale io la consiglio di pura salita. su che distanza? tutte. Dalle esplosive di pochi secondi (10-20) che hanno una componente significativa di stimoli cardio-circolatori e del consumo di ossigeno fino alle lunghissime (15 minuti) che magari vanno a stimolare anche una produzione extra di lattato inutilizzabile.
    Questo, a proposito, è un carattere costante del trail; lo stesso allenamento va a stimolare indirettamente anche altre caratteristiche: ecco che, zum Beispiel, l’endurance avrà una componente di stimolazione anche di forza, di potenza lipidica e di assorbimento del lattato (da qui nasce l’imprescindibilità del lungo).
    Tornando alle ripetute, ruotate le distanze per non fossilizzare il vostro programma. Partite con una buona base di esplosive in gran numero, intercalando magari un bel 3-4 min. di corsa pianeggiante ogni 5x fino a 20-25x per seduta. Non temete, nel proseguire la preparazione, di affrontare salite più lunghe, tipo 2-6 minuti per 4-6 (aumentate nei casi più brevi) ripetizioni oppure perfino 10-15 minuti per 3-4 volte. Attenzione all’impegno, quasi massimale nelle esplosive e prossimo a quello di gara nelle lunghissime… Finite le ripetizioni piazzeteci un bel allungo in simil-pianura di 2-4km al massimo che riuscite, vi sembrerà di volare.
  • riassorbimento del lattato. Ecco un altro tipo di lavori che può essere svolto efficacemente senza riservarsi grosse porzioni di tempo. fartlek prolungato e ripetute (lavori che descrivo poi come potenza lipidica) sono mezzi allenanti che costringono anche (ma non solo) il recupero energetico del lattato in eccesso prodotto nella parte veloce. a patto, però, che il recupero non sia corso troppo blandamente.
  • potenza lipidica. qui le tipologie di allenamento sono molteplici. Il criterio da seguire è che l’allenamento svuoti la riserva di glicogeno e abitui l’organismo a ricavare energia dalle riserve lipidiche. l’importante è che si riesca a gestire questa carenza in allenamento perché in gara questa verrà, sottoforma di una travolgente crisi, ed è bene trovarsi preparati.
    ecco le vie per la “salvezza” :P
    1. allenarsi a digiuno. Cena frugale e senza colazione. va detto che il sistema va testato a partire con allenamenti blandi perché sicuramente si va incontro ad una legnosità muscolare non indifferente e un rallentamento dei ritmi a cui si è abituati. detto questo il digiuno può essere applicato ad ogni tipo di allenamento. la scorta di glicogeno è già limitata e il corpo dovrà adattarsi (con il tempo e le uscite) a ricercare energia altrove.
    2. lunghi progressivi. questi io li faccio in alternativa al lungo. in piano, su strade di campagna. ci si può sbizzarrire sulle distanze e perfino sulle combinazioni. con la gradualità sono raggiungibili chilometraggi notevoli (fino a 30km) e l’utilità, ai fini della resistenza mentale e fisica e della potenza lipidica, esageratamente notevole. A volte sfrutto una mezza o una maratona trasformandola in progressione. Le trance chilometriche possono essere decrescenti (54321, esempio) oppure regolari (4444). L’importante è partire ad un ritmo anche superiore al proprio ritmo maratona e, soprattutto, terminare all’incirca alla propria velocità di soglia.
    3. Ripetute a recupero sostenuto. Si tratta di ripetute di qualsiasi tipo (tipo da 400 fino a 5k), corse a ritmi non velocissimi (per esempio le rip sui 5k le posso correre al mio ritmo maratona) a cui alternare un recupero mai troppo lento (+20/25% rispetto alla tratta veloce)
    4. Fartlek. idem come le ripetute solo che qui c’è più relax mentale perché l’allenamento è vario e, a suo modo, libero. si tratta di intervallare tratti brevi veloci a tratti brevi di recupero (giusto per rifiatare e comunque non troppo lenti). partite da 20′ e arrivate fin dove potete. :)
    5. doppio allenamento. questa è la manna per noi dal tempo libero asfittico. nel primo allenamento svuotiamo il glicogeno nel secondo preghiamo perché il corpo si adegui. io utilizzo questa teoria per spezzare allenamenti lunghi o per fare in due giorni (sabato pomeriggio e domenica mattina) quello che NON POTREI fare in uno solo. a volte mi è capitato di correre una notturna alla sera e farmi una 15km il giorno dopo. potete combinare di tutto, ma sappiate che è bene che il primo allenamento sia abbastanza intenso se breve (appunto una gara o un medio) e il secondo pure :DDDD Beh, comunque, pensateci: invece di fare 30km fate2 sedute da 15km, stando via un’oretta ciascuno… le vostre mogli faranno salti di gioia… :P
  • Endurance. il lungo… vi confesso che lo adoro più della competizione, sia quando sono solo, sia quando sono in compagnia.Il lungo in ambiente naturale concentra un po’ di tutti gli stimoli allenanti di cui ho detto, ma principalmente ha, imho, una stimolazione della resistenza mentale, non solo fisica, fuori dal comune. nel lungo c’è di tutto: lo studio del percorso, la preparazione del materiale (lo zaino non è il gonnellino di etabeta), lo studio della situazione meteo, questo a casa; durante c’è l’orientamento, lo studio delle proprie sensazioni fisiche e mentali, le prove sul proprio metabolismo (e le discussioni avute con il proprio stomaco…), l’osservazione degli eventi atmosferici (quante volte ho cambiato percorso perché certi nuvoloni…), la crisi che viene e DEVE andare, la stanchezza, il correre nel fango. insomma, stupendo. quanti farne? per quanti km? io penso che noi amatori concentriamo gran parte del nostro allenamento qui e perciò suggerisco gradualmente di aumentare la distanza coperta fino a 3-4 settimane prima con un buon 70-80% del chilometraggio della gara. può bastare forse anche meno (anzi basta di sicuro), ma personalmente questa distanza mi consente una sicurezza mentale quasi disarmante e spiazzante, per chi è abituato a sottovalutarsi. sulla frequenza dei lunghi, io ne faccio uno ogni due-tre settimane e nel resto ci metto progressivi o ripetute in modo da fare comunque lavori dal chilometraggio importante almeno una volta alla settimana.

Bene. ora crollo sulla tastiera… buone corse a tutti!

Ultratrail: cosa allenare

Proviamo ora a definire i cardini di un allenamento per un ultra-trail, quantunque gli stessi dettami, opportunamente modificati possano interessare distanze più brevi.
queste linee-guida (odioso termine burocratico) permettono con il giusto adattamento alle esigenze personali (tempo disponibile in primis) di pianificare una “campagna” coerente con il nostro obiettivo.
Cosa diamo per scontato?
Chi si appresta a sfondare il tetto dei cinquanta chilometri non può essere a digiuno di una certa base atletico-tecnica. Parlo di resistenza, forza muscolare ed elasticità. principi tutto sommato validi per ogni distanza, ma che nel trail forniscono la costituzione, il bagaglio, basilare di ogni atleta.
Quindi, in un periodo preparatorio, eventualmente, invernale sarà da formare adeguato fondo a bassa intensità e sviluppo della forza muscolare (come già accennato qui). Da non mancare, questo filmato su adrenalinechannel.
Inoltre è auspicabile, ma per alcuni potrebbe non esserlo, e certo è una mia personale opinione, un certo adeguamento alla distanza attraverso distanze intermedie.
Fatto questo, da 3 a 6 mesi prima dell’ultra-obiettivo si dovrà entrare nella preparazione specifica. il tempo richiesto varia in relazione alle aspettative, capacità e livello di ognuno. ad esempio per un debuttante che mira la conclusione entro i tempi massimi tre mesi di periodo specifico possono bastare. Viceversa il tempo dedicato aumenta se si richiede a se stessi un giro di vite, un evoluzione, un miglioramento prestativo.

a) potenza lipidica. la potenza lipidica è la capacità di utilizzare grassi durante la corsa. lo sviluppo di tale caratteristica porta l’atleta ad incrementare la velocità in cui la potenza lipidica è massima. il concetto è alla base di ogni preparazione alla maratona, ma nell’ultra, in genere, questo concetto acquisisce un valore ancora più prioritario.
b) forza muscolare e elastica. il trail giustifica sempre un certo sviluppo/mantenimento di un’adeguata forza muscolare. i profili altimetrici, e ancora di più le discese, e la sconnessione del fondo sono alcuni dei motivi per cui richiami di questo aspetto non sono mai da tralasciare.
c) recupero degli accumuli transitori di lattato. nel trail è evidentemente impossibile, come invece nelle ultra su strada, mantenere una velocità ottimale che permetta il riutilizzo energetico del lattato; si dovrà quindi abituare i muscoli a lavorare efficacemente, senza un decadimento delle prestazioni anche in presenza di alte concentrazioni seppure per periodi magari non lunghi.
e) endurance. il nucleo della questione. solo adeguati stimoli di endurance possono comprendere l’ampissima casisitica delle situazioni che il nostro organismo si trova ad affrontare durante un trail. C’è la distanza, vero, ma paradossalmente non solo: orientamento, condizioni climatiche, materiale tecnico, auto-sufficienza alimentare, crisi mentale, solitudine, stanchezza ecc. Insomma ci sono molte variabili da gestire e solo accumulando esperienza nei lunghi possono diventare variabili controllabili senza eccessivi dispendi.

Nel prossimo post vedremo quali mezzi possiamo utilizzare per allenare queste caratteristiche

Che la forza sia con te

Tra i molti aspetti da allenare per un trailer (se sapessero le nostre mogli/fidanzate/compagne che esistono discipline meno onerose per tempo e varietà che consumano…) c’è, ovvia conseguenza del post precedente, la forza muscolare.
Lo so, un trailer, abituato alla corsa in natura, che si rinforza i quadricipiti in una palestra, spazi angusti, in condivisione con varia fauna pseudo (o anche no) sportiva… uff, non esiste, insomma!
è ormai consolidato che una adeguata preparazione muscolare, specie invernale, funga da eccellente base per molte discipline dell’atletica leggera, ma un podista amatore ancora la snobba, non attribuendole importanza. Nel trail, addirittura la preparazione invernale, potrebbe non bastare, richiami continui alla stimolazione della forza andrebbero compiuti per tutta la stagione, tranne proprio le due/tre settimane a ridosso delle competizioni.
in realtà a stimolare la forza muscolare dei distretti inferiori possono bastare dei lunghi trail. l’alternarsi di salite e discese, anche senza badare al ritmo, stimola le contrazioni muscolari (sia eccentriche sia concentriche) in maniera eccellente. Salvi dalla palestra, quindi?
Sì e No…
Chi vuole osare qualche cosa di più, chi assegna ai propri obiettivi qualche ambizione in più (qui non parlo di classifica si intenda, ma portare a casa la conclusione di un trail con sempre maggior soddisfazione, che è poi l’obiettivo, immagino, della maggior parte dei trailer) ha bisogno di avere quel quid di forza in più. forza che gli permetta di spingere anche in discesa, che ci permetta quello spunto, quell’elasticità di cui abbiamo bisogno nel lungo intervallarsi di saliscendi che è un trail, ultra o race che sia.
allora?
io propongo dunque, sì, di costruire una bella base invernale, quando la corsa, richiede qualche sforzo in più e il tempo è sempre poco, attraverso essenzialmente alcune tipologie di lavori:
a) ripetute in salita. anche brevi. le salite stimolano due effetti, l’aumento dell’efficienza cardio-vascolare (secondaria, in quest’ottica, ma non da buttare…) e, appunto, la forza muscolare. perché gli esercizi siano efficaci bisogna che siano svolti bene senza far decadere il gesto per stanchezza. io non supererei i 50-70m su un buon dislivello (anche un bel cavalcavia illuminato), con un ottimo recupero e con ripetizioni in progressione per numero, man mano si procede con le sedute.
b) quando il tempo (atmosferico, ma anche no) è davvero infame ci sono un’infinita schiera di esercizi a corpo libero da fare in casa. ve ne descrivo alcuni che faccio, consiglio di partire con un primo circuito con dieci ripetizioni per esercizio (e per arto nel caso).

  • squat su singola gamba in piedi con una gamba dx diritta leggermente sollevata, con la sx simulate il movimento del sedervi su una sedia piegando il ginocchio. attenzione a non esagerare con l’angolo di discesa: tra i 45° e i 60° va bene. ritornate in posizione estendendo di nuovo la gamba sx. si può aumentare la difficoltà mettendo sotto il piede a terra un cuscino abbastanza denso e rigido che costringerà a continui bilanciamenti. Esercizio proposto su “trail runner” da Scott Jurek in persona, si fonda sul principio che lo squat a due gambe è inutile in quanto ogni singolo ginocchio ad ogni passo/gradino carica tutto il peso del corpo. per ottenere la stessa forza piegandosi su entrambe le gambe bisognerebbe aggiungere bilanceri non indifferenti (con il rischio, almeno, di eseguire male l’esercizio).
  • tavola distesi a pancia in giù, il corpo è sollevato e sostenuto solo da avambracci e dita dei piedi. restare in posizione per un minuto. aumentare la difficoltà sollevando a turno un piede con gamba distesa.
  • ponte “leg curl” distesi sulla schiena, braccia aperte, piedi e glutei a terra, ginocchia flesse. meglio se il pavimento è liscio, sotto i piedi mettete una salvietta/panno. si contraggono glutei alzando il bacino verso l’alto mentre i piedi scivolano in avanti. le spalle restano a terra. è possibile incrementare la difficoltà alzando una gamba da terra durante il movimento
  • passi laterali in piedi, legatevi con una banda elastica le gambe appena sopra le ginocchia, sistematevi la fascia in modo che abbiate un certo “spazio” di movimento. tenendo ferma una gamba muovete con un passo laterale l’altra, poi ritornate nella posizione di partenza, ripetete la stessa sequenza con l’altra gamba. la difficoltà può essere incrementata con uno squat all’interno del movimento. è l’unico esercizio che richiede un accessorio: la fascia elastica, la usano in pilates – credo! – io l’ho trovata su ebay a pochi euro. ne esistono di vari colori che corrispondono a varie resistenze (credo nero – il più tosto – poi blu, rosso, eccetera)
  • gradino una gamba su un gradino, l’altra più in basso. tenete una mano sul muro (senza scaricare peso, ma solo per non cadere). salite con il corpo spingendo con la gamba in alto, facendo ruotare tutta la pianta del piede dal tacco alle dita. tornate nella posizione in basso. si può aumentare la difficoltà tenendo un manubrio nella mano libera, ma non l’ho mai fatto, se perdessi l’equilibrio frantumo i gradini di marmo :))))
  • propriocezione in piedi su una gamba con il ginocchio di sostegno leggermente inclinato. 1 minuto circa. difficoltà maggiore con un cuscino sotto il piede di sostegno.

c) esercizi di elasticità muscolare. l’elasticità muscolare migliora la coordinazione (che se è fondamentale per i podista puro da strada, immaginatevi cosa deve essere per chi come noi corre su un terreno sconnesso) e la reattività agli stimoli. quest’ultima faccia è particolarmente specifica per il trailer che si trova spesso costretto a cambi di ritmo, variazioni posturali per adeguare la stabilità, variazioni nell’appoggio sulle asperità del terreno ecc, nonchè prontezza e agilità esplosiva nel superare ostacoli. anche qui il lavoro può essere compreso in un uscita su fondo naturale, tuttavia, per la stessa ragione sulla forza, questo versante andrebbe sviluppato ulteriormente con esercizi mirati. l’esercizio base prevede un’atterraggio per compressione sugli arti inferiori a cui fare seguire, immediato, esplosivo ed elastico, un allungamento degli stessi arti. esercizi tipici sono le serie di balzi a piedi uniti con ostacoli minimi (anche solo da 20cm), la corsa balzata laterale, calciata o a ginocchia alzate. anche qui il gesto non deve decadere ed è necessario un adeguato riscaldamento perché è facile andare incontro ad infortuni.
Qualcuno, trailer fighi e oltreoceano, sempre Jurek :|, propone pure il pilates
d) stretching, stretching, stretching!
e) infine la tanto odiata palestra: qui mi metto in disparte per lasciare il campo a chi ne sa più di me. Fulvio Massa nel suo libro parla che l’unica macchina veramente fondamentale e quasi priva di rischi d infortunio sia la pressa orizzontale. mi fido, ma, anche se difficile trovarli, sarebbe bene che ci affidassimo alle cure di un istruttore che capisce le nostre problematiche e ci indirizzi di conseguenza. in ogni caso rigettate ogni programma che persegue lo sviluppo della massa; il nostro obiettivo è aumentare la forza resistente, non diventare ipertrofici: meno carichi, più ripetizioni.

prima di qualunque lavoro che vada a stimolare la forza muscolare eseguite il riscaldamento, obbligatorio!
Una seduta settimanale mi pare il minimo (due?), almeno ora. Più avanti un richiamo ogni ciclo di allenamenti.

Anche qui i commenti e le critiche sono bene accettate.

Powered by ScribeFire.

La discesa

Istigato da emme, con questo post creo una sezione del blog dedicata alla divulgazione del trail running (vedi la tag apposita, sul lato dx). Si tratta di semplici approfondimenti su alcuni aspetti della disciplina che mi appassionano, suscitati da letture varie e discussioni altrettanto varie. Ovviamente, ribadisco la natura a licenza “common creative” del contenuto di tutto il blog: ritagliate, copiate, incollate dove volete mantenendo saldi solo alcuni solidi principi, non commerciabilità, né opere derivate e, soprattutto, attribuzione della fonte. sempre! leggete qui per i dettagli da legulei

il brano che segue è un mio elaborato di un mio intervento su it.sport.atletica circa sei mesi fa. gli ho dato una forma più accettabile e ho accolto alcune giuste critiche che venivano mosse alla discussione iniziale. buona lettura e, come al solito, ogni commento è bene accetto

La discesa è il tratto che più mi affascina in una corsa, breve o lunga che sia. Prima la temevo perché mi dava l’idea, peraltro condivisibile, della distruzione muscolare, dell’illuderti che il fiato regga e arrivare in fondo e capire che non ce ne è davvero più, che le gambe non si muovono, che lo sprint avviene al rallentatore mentre intorno tutto si muove a velocità normale. Ora non è più così, la discesa è davvero la cosa più bella di un trail, la velocità, il controllo che riesci ad imprimere al tuo corpo, il senso di volare letteralmente sulla natura… insomma, mi piace!
tutto dipende dalla pendenza e dalla “durezza” del fondo, ma soprattutto ad un misto di sanguefreddo-incoscienza-coraggio.
cose che si possono imparare, ma che i più arditi ce l’hanno dentro come un qualsiasi talento! gli skyrunner più disperati (i migliori quindi) si gettano dai burroni – senza mezzi termini! paiono stambecchi – a velocità impensabili per noi umani.
noi mortali, con un po’ di sana razionalità, freniamo, spostando il bacino indietro, corricchiando a passi corti. questo quando la difficoltà tecnica (pendenza e terreno) non consente altro.
in realtà lo spostare il baricentro all’indietro ci fa frenare – vero -, ma sovraccarica pesantemente la colonna vertebrale con conseguenze nefaste. e i quadricipiti? immaginatevi dopo un bel po’ di km…:(
la questione è tutta legata alla pratica e all’esperienza che aumentano la confidenza (con il proprio corpo, in un atto per noi post-moderni del tutto innaturale, quello della corsa a perdicollo giù per una bella discesa) e il divertimento (assoluto) relegando sempre più in disparte paure e tentennamenti.
iniziate da una facile: la discesa, da manuale, prevede di spostare il busto leggermente avanti e correre spingendo sugli avampiedi con grandissimo guadagno in termini di velocità. più la velocità è elevata meno forze scarichiamo a terra (=meno logoramento generale, quad e vertebre in primis) e, di conseguenza (meno tempo a terra, più in “volo”), aumentiamo l’agilità e il controllo del corpo (chi ha corso in una discesa irta di curve e fango sa di cosa sto parlando…)
in generale:
– posizione del corpo: busto eretto leggermente inclinato in avanti, testa bella alta. il corpo deve formare una specie di linea perpendicolare con il terreno inclinato. se la discesa è particolarmente irta si può correre introducendo una componente laterale nella spinta in avanti. io mi sento più sicuro e riesco a stare meglio in “asse” con il sentiero controllando curve, differenze di livello, tutto.
– testa alta, non per superbia :), ma per consentire un sguardo profondo alcuni metri più in là. liane, radici, sassi, massi da saltare, perfino ricci, galli cedrone e conigli selvatici (pure questo mi è toccato): li vedete da lontano e nella frazione elaborate la migliore tattica. l’importante è non guardare il panorama, almeno qui in discesa, ca**o! :)

l’esperienza e la pratica aumenteranno la vostra capacità di spingere e affrontare, non dico da stambecchi, ma da cerbiatti, almeno, le discese insidiose. detto questo siate comunque pronti a cadere…:P
Perché in gara, ma anche in allenamento su percorsi nuovi o resi insidiosi dalle condizioni meteo, il problema risulta anche il non conoscere a fondo la conformazione, la struttura della discesa: verrebbe logico frenare cautelandosi in attesa di imprevisti qualsiasi. questo invece è un dato di fatto ineluttabile. con la pratica e l’esperienza si scopre che non è tanto quello che *non* si conosce della discesa che si affronta, ma lo è quello che si percepisce (vedere e ascoltare). Cioè sapere sfruttare sensazioni e informazioni, elaborare nel minor tempo possibile le informazioni che il corpo riceve per agire di conseguenza, di riflesso.
pare facile, lo è, finché ci si sente sicuri e padroni del proprio corpo. un po’ meno, tanto meno, quando la fatica e la stanchezza sono la vera preoccupazione.
L’altra vera presa di coscienza nell’affrontare determinati la discesa è infatti il sapere dosare non le risorse energetiche, già oneroso problema in un’ultra, ma quelle muscolari. Che la discesa consuma fino all’osso, presentando il conto d’improvviso allorchè avviene il primo cambio di pendenza.

In mezzo a tutto questo, quindi, è da ricercare un equilibrio, una capacità di leggere l’altimetria, il percorso, la sua durata, le nostre capacità (senza ergersi a titani o discreditandosi per modestia, vera o falsa).
L’equilibrio, come in ogni attività, va perseguito e cercato all’interno di noi stessi, dei nostri obiettivi, delle nostre capacità di resistenza mentale e atletica e tutte le altre qualità che l’endurance fa emergere.

Powered by ScribeFire.

la scelta di una scarpa da trail running

Questa guida appare nel newsgroup it.sport.atletica all’interno di una guida più ampia che riguarda la scelta delle scarpe da running in toto redatta dal capitano Gert; il sottoscritto ha curato questa particolare sezione. è probabile che questo post venga in futuro arricchito, completato o corretto grazie alla mia esperienza o grazie ai vostri sempre ben accetti commenti. in coda sarà possibile sincerarsi dell’ultima modifica avvenutaLa stabilità della scarpa è il primo criterio di scelta, e quindi è elemento fondamentale, nei modelli specifici per il trail running: infatti, la varietà del fondo non permette un appoggio regolare e il piede, nel complesso, è sottoposto a carichi di vario tipo e direzione. Proprio la qualità e la quantità degli inserti per regolarne la stabilità coprono il ventaglio di scarpe da trail disponibili sul mercato.
I modelli più leggeri, utilizzabili su fondi non molto tecnici o dagli atleti più veloci o su tracciati brevi (dove comunque per il ritmo di corsa la frazione di tempo di contatto al suolo è ridotta), hanno spesso un inserto antipronazione oltre allo scafo di contenimento della caviglia, non differenziandosi di molto (se non per la scolpitura della suola) dai modelli A4 per la corsa su strada. La stabilità acquista, via via, più importanza sui modelli disegnati per distanze più lunghe, interessando, non soltanto la parte posteriore e interna del piede, ma anche lateralmente e perfino l’avampiede (congiuntamente al sistema di allacciatura).
Taluni modelli possiedono puntali in gomma rigida, o altra materia plastica poco deformabile, per alleviare gli impatti con rocce o sassi.
Anche la traspirazione riveste un ruolo significativo in quanto, specie in gare lunghe, la scarpa deve permettere sia l’evacuazione rapida del sudore sia il drenaggio dell’umidità accumulata transitando su terreni bagnati. Esistono parecchi modelli equipaggiati con la tomaia in materiali traspiranti, ma impermeabili, quali il goretex, o similari: si tratta di un indubbio
vantaggio perché in condizioni di elevata umidità ambientale riescono a mantenere il piede asciutto.
La scolpitura della suola è un altro elemento significativo soprattutto in casi di fondo poco stabile e poco compatto. La disposizione dei tasselli di solito è atta ad elevare l’attrito in discesa nell’impatto della zona tallonare e in maniera opposta nella zona dell’avampiede per permettere una maggiore presa, e successiva spinta, durante le salite più ripide. Tassellature più o meno accentuate o “arpionanti” possono meglio figurare su tipologie diverse di terreno. Lo stesso dicasi per la mescola della suola: una tipologia più morbida può essere preferita su terreni più duri dove possa meglio aderire.
Tutti i modelli da trail dispongono di un elevato sistema ammortizzante e di protezione dall’impatto al suolo. Il peso dell’atleta o varie patologie esistenti possono influire sulla scelta. Come regola generale, comunque, l’ammortizzazione può rivestire una fattore secondario rispetto alla stabilità; il terreno, infatti, dove non sia roccioso, è in grado di assorbire una parte,più o meno significativa, degli urti da impatto del piede. Quasi su tutti i modelli e le case di produzione utilizzano comunque inserti ammortizzanti quali cuscinetti di aria o di mescole dall’alto assorbimento delle energie da impatto.
L’allacciatura è, infine, importante perché rende solidale il piede con la scarpa in uno sport in cui è necessario “sentire” l’appoggio, l’attrito del
fondo e l’equilibrio: in una parola la stabilità. Inoltre un serraggio perfetto impedisce slittamenti del piede all’interno della scarpa evitando fastidiose vesciche.
Sistemi di allacciatura rapidi possono migliorare e velocizzare cambi di calze o pulizia di detriti accumulati dopo molte ore di corsa e quindi dapreferire in ottica ultra.

Vari modelli ibridi di scarpe possono essere confusi con quelle da trail, come scarpe da trekking leggero o hiking o nordic walking. Oltre a farsi consigliare, in generale, da un esperto si potrebbe notare che una scarpa da trail ha una suola meno rigida rispetto a quelle studiate per le camminate. La struttura che comprende suola e intersuola deve permettere la
naturale torsione del piede durante la corsa.
Un ultimo sguardo alla leggerezza della scarpa: sebbene esistano modelli estremamente leggeri (adatti comunque a trail-sky race brevi o atleti di consumata abilità) va detto che non è necessario perseguire la leggerezza a tutti i costi rinunciando, magari, in ordine di importanza, a stabilità, protezione, ammortizzazione o grip. Il trail running spesso richiede la corsa con zaini dal peso nell’ordine di qualche chilo e prevede ampi tratti di marcia vanificando l’influenza del peso delle scarpe.

Attenzione alla misura in fase di acquisto: compratele della misura leggermente più grande (almeno mezzo numero fino, addirittura, ad una misura), questo può prevenenire fastidiosissime rotture delle unghie nelle discese, fidatevi!

In commercio, concludendo, la scelta è ampia e varia: è bene, perciò, che si valuti a fondo quale sia il modello più idoneo a soddisfare i bisogni personali. Si va, infatti, da modelli ibridi adatti a sentieri facili, collinari e con sezioni anche in asfalto fino a modelli appositamente concepiti per particolari terreni o gare (brevi o lunghe distanze, sentieri accidentati o di alta montagna, irregolarità o predominanza di rocce lisce o, infine, tratti con corsi d’acqua, neve, ghiaccio o fango).
Chiudo, davvero, con un ultimo consiglio: una scarpa da trail, quanto più tecnica, richiede adattamento specie se abituati nel corso degli anni alle classiche scarpe da running.

attendo critiche e consigli…

A contorno aggiungo un post sullo stesso argomento e scritto qualche tempo dopo.